Finti alberi di plastica. La solitudine che ci salva..

È il 1995 quando i Radiohead, storica band inglese di quegli anni, dopo la conquista dell’America con il singolo Creep, vengono chiamati a confermarsi con un nuovo disco.

Thom Yorke, frontman della band, esausto da un tour durato ben due anni, ha una melodia intrappolata che non riesce inizialmente a materializzarsi, abitando in una sorta di limbo dentro di lui tra ispirazione e composizione.

L’illuminazione si fa attendere, ma alla fine giunge in una nottata solitaria e probabilmente alcolica in cui Thom si lascia andare ad un testo apparentemente senza senso, una fiaba conturbante che trae spunto da un parco londinese costituito da vegetazione artificiale.

Il frontman dei Radiohead considera questo testo “uno scherzo che in realtà non è uno scherzo” e, a detta sua, rimane uno dei testi migliori che abbia mai scritto.

 

Fake plastic trees (finti alberi di plastica)

Il suo annaffiatoio di plastica verde

Per la sua finta pianta cinese di gomma

Nella sua finta terra di plastica

 

Che lei ha comprato da un uomo di gomma

In una città piena di piani di gomma

Per disfarsene

 

Questo la infastidisce

Questo la infastidisce

..

Lei vive con un uomo distrutto

Un uomo di polistirene in pezzi

Che si sbriciola e brucia

 

Lui faceva il chirurgo plastico

Per le ragazze degli anni ‘80

Ma la gravità vince sempre

 

E questo lo infastidisce

Questo lo infastidisce

..

Lei sembra essere ciò che è reale

Ha il gusto di ciò che è reeale

Il mio falso amore di plastica

 

Ma non posso resistere al sentimento

Potrei andare via attraverso il soffitto

Se solo mi girassi e  corressi

 

E questo  mi infastidisce

Questo mi infastidisce

..

E se solo io potessi essere ciò  che tu vorresti

Se solo  potessi  essere ciò che tu vorresti 

Per sempre

Per sempre

 

Non vorrei soffermarmi sul testo e nemmeno sul brano, che secondo me va ascoltato a occhi chiusi, senza troppe spiegazioni (ammesso che ve ne siano).

Piuttosto vorrei sottolineare come è nato e perché ha fatto subito breccia nel mio cuore, diventando una delle mie canzoni preferite (sin da quando ero adolescente).

La band è chiusa in uno studio di registrazione in Inghilterra mentre tenta di registrare il pezzo, che ad un certo punto suona talmente pomposo da sembrare innaturale.

Quella mattina Thom si sveglia con la luna storta e non sembra essere molto collaborativo.

Dopo tre ore infruttuose, chiede agli altri componenti della band di andarsene e rimane solo con la sua chitarra.

Quello che accade, poi, viene descritto così da Johnny Greenwood (chitarrista dei Radiohead) : <<Thom ha registrato tre take de pezzo in versione acustica e poi.. è  scoppiato in lacrime>>.

 

Passano mesi per curare nei minimi dettagli l’arrangiamento di Fake Plastic Trees, che rischia di  non vedere la luce per l’intervento dell’etichetta americana che, senza chiedere alcun permesso, modifica il pezzo per renderlo più fruibile al mercato interno.

Il mix viene bocciato senza riserve da Thom e la versione che viene consegnata alla storia è costruita proprio intorno a una delle tre fatidiche registrazioni solitarie di quel bellissimo giorno di luglio.

 

Ho scoperto per caso questo aneddoto e sono rimasta colpita dal profondo significato che porta con sé.

Ad un certo punto, Thom, ha dovuto compiere la sua opera, nel massimo splendore di una sofferente genialità: in solitaria.

La cura che il gruppo aveva messo nella composizione, aveva snaturato il pezzo, rendendolo diverso da com’era nato e da ciò che voleva esprimere. E soltanto in solitudine è riuscito, senza pensarci troppo, a suonare quella che poi è diventata la take definitiva di un capolavoro.

 

Questa esperienza parla di individuazione, dell’importanza del compiere in solitaria alcuni viaggi della nostra vita.

Attraversare esperienze in solitaria significa prendere consapevolezza della propria unicità e, ciò che mi arriva più forte da questo racconto, è proprio il potere e la grande capacità del rimanere fedeli a sè stessi.

Quante volte, a pensarci bene, siamo spaventati dall’idea di affrontare le cose da soli. Sperimentiamo l’angoscia del non farcela senza una guida, senza il consenso o l’appoggio degli altri e rischiamo di rinunciare alle cose dando voce e spazio alla paura e trascurando il desiderio.

 

Altre volte, nella vita, invece non vediamo l’ora di fare le cose da soli. Penso all’adolescenza, a quel processo faticosissimo che avviene in quel momento di vita, che ci consente di scoprirci come individui, al di là della famiglia. Non significa rinnegare o abbandonare i propri genitori (anche se alcune volte in adolescenza accade e va bene così, fa parte del gioco..), ma farsi spazio nella vita come esseri umani unici e ineguagliabili.

Questo processo, definito “individuazione” è quello che ci serve per scoprire chi siamo, al di là di dove veniamo. Non si esaurisce certo in adolescenza, ma è un viaggio che continua poi lungo tutto l’arco della vita, forse (e per fortuna) senza mai trovare una vero e chiaro compimento.

 

Probabilmente solo ora comprendo l’importanza che ha assunto questo pezzo per me e come mai anche ora, che l’adolescenza l’ho attraversata da un po’, rimane uno tra i miei preferiti.

La semplicità degli accordi, per nulla scontati, mi arriva proprio per l’immediatezza e la naturalezza con cui si apre la canzone a livello strumentale. Dopo poco arriva la voce di Thom a prendermi per mano ed accompagnarmi in un viaggio denso di emotività che spazia dalla tenerezza alla rabbia..

Il testo è ambiguo e per questo mi piace ancor di più, perché aperto a mille interpretazioni e in ogni periodo della vita in cui mi ci sono soffermata, si è accordato perfettamente a ciò che stavo vivendo.

E poi, la strofa finale “if I could be who you wanted..”, cantata in quel modo così profondo e autentico, ben rappresenta  gli infiniti tentativi che probabilmente sin dal primo ascolto, senza nemmeno rendermene conto, stavo già compiendo per diventare me stessa.. cercando di sottrarmi a quelle che erano le aspettative degli adulti in quel momento. Il più pericoloso tra gli ostacoli nel percorso dell’individuazione ..

 

Il viaggio per diventare sé stessi è fatto di fatica e sofferenza, di tratte che necessariamente si devono compiere in solitaria e tratte che invece possono essere gioiosamente condivise.

Questo pezzo rispecchia, secondo me, perfettamente tutto ciò che una persona mette in campo nel tentativo, spesso disperato, di sfuggire alle aspettative degli altri, semplicemente per il più puro tra i desideri: quello del sentirsi profondamente amati.

 

Buon ascolto